giovedì 5 novembre 2015

Vampyr - 1932

Vampyr è un film horror del 1932 di produzione Tedesco – Francese, diretto da Carl Theodor Dryer.
Primo film sonoro realizzato da Dryer, venne girato in tre lingue differenti, rendendo la lavorazione della pellicola particolarmente impegnativa.
Per ovviare al problema, il regista decise di optare per un formato ibrido tra non sonoro e sonoro.
Accanto ai tradizionali “sipari” in uso nel cinema muto, i quali narrano buona parte di quanto accade nella storia, sono presenti alcuni dialoghi ridotti all'osso, ridoppiati nel corso della post produzione in Tedesco, Francese ed Inglese.


Posso affermare che questa soluzione dona al film un ulteriore tocco di mistero, che unito alla tecnica usata per girarlo e alla storia, creano un insieme particolarmente sospeso, onirico, e disturbante.
Sono proprio questi i termini che con maggiore naturalezza associo a Vampyr, e che rendono la visione della pellicola un'esperienza da provare, nonostante il ritmo narrativo spesso eccessivamente lento, e la trama poco chiara.
Quasi l'intero cast impiegato nella realizzazione, era non professionista.
In particolare Allan Gray, il protagonista, era nulla più del mecenate di Dryer, che dopo aver fornito i soldi per la produzione del film, richiese di comparirvi nel ruolo principale.
Julian West, nome d'arte sotto al quale si celava il Conte Nicolas De Gunzburg, non possedeva alcuna esperienza attoriale, ed a parte la sua elegantissima presenza, appare evidente come la mancanza quasi completa di espressività e abilità nel muoversi all'interno dello spazio scenico, abbiano costretto Dryer a dirigere il giovane atteggiandosi come fosse prigioniero di un sogno, cosa che, paradossalmente,  rese la sua inespressività interessante.
Visionario, astratto, immerso in una luce polverosa e malata, Vampyr non si può certamente definire un film horror così come lo si intende adesso, ma regala allo spettatore momenti di altissima emozione e tensione, che, credetemi, faticherete a dimenticare.
Tornando all'aspetto “luce”, l'effetto offuscato e per così dire “slavato” della pellicola, è da attribuirsi ad un piccolo incidente occorso a Rudolph Maté, il direttore della fotografia. Avendo accidentalmente aperto una latta contenente un rullo di pellicola, creò una sovraesposizione del materiale in grado di affascinare Dryer a tal punto, da desiderare ricreare l'effetto nel suo film, tramite l'uso di una garza posta ad una distanza di circa 9 metri dall'obiettivo.
La storia: Allan Gray giunge nel villaggio Francese di Courtempierre, trovandosi coinvolto in una storia oscura le cui protagoniste, due sorelle di nome Léone e Gisèle, sono insidiate dalla presenza di un misterioso vampiro.
Léone in particolare, giace a letto malata, e le sue condizioni appaiono particolarmente gravi.
In un susseguirsi di scene allucinate fitte di ombre, fantasmi, porte che si aprono e chiudono da sole e molto altro,  Allan cercherà di fare luce sull'enigma della malattia di Léone, l'assassinio di suo padre, e il ruolo che il medico del villaggio sembra avere in tutta la faccenda.
Come scritto in precedenza, alcune scene vi resteranno impresse nel cervello, anche se, come me, possedete una memoria scarsissima.
Quando Léone viene riportata in casa, dopo essere stata sorpresa a vagare in preda ad uno stato di sonnambulismo e delirio, e piangendo invoca la morte al fine di liberarsi delle sue pene, assistiamo ad un cambio di espressione nella ragazza, la quale si muta per un attimo in una creatura come posseduta da qualcosa di esterno e malato.
Ecco, la tensione, le inquadrature, l'atmosfera che si respira in quei pochi minuti sono qualcosa di incredibile, da pelle d'oca.


Un'altra scena memorabile, che presenta inquadrature e movimenti di camera assolutamente efficaci, e credo alquanto complessi per l'epoca, è la lunga sequenza durante la quale, Allan sembra addormentarsi su di una panchina, e una parte di lui si stacca dal corpo, seguitando ad indagare su ciò che sta accadendo nei dintorni.
La figura di Allan, resa come fosse un fantasma semi-trasparente, si ritrova poi ad assistere al suo stesso funerale.
Lo spettatore viene trascinato in un delirio di immagini angoscianti, che mostrano il mondo visto da Allan sdraiato nella bara chiusa, munita di una finestrella in vetro che dà all'esterno.
Mentre l'uomo giace immobile con occhi sbarrati e spiritati, la camera da presa si muove alternando immagini così come Allan le vede, ed immagini di quanto succede all'esterno.


È tremendamente claustrofobica ed angosciante questa parte, la più “forte” dell'intero film.
Incapace di staccare gli occhi dallo schermo, ho seguito l'intera scena trattenendo il fiato per l'emozione.
Dryer regala nuove ansie allo spettatore, e con sottile sadismo mette in atto la morte del dottore, rinchiudendolo dentro la macina di un mulino, dove soffocherà miseramente sotto tonnellate di farina.
Ho provato ammirazione e pietà per l'attore costretto ad interpretare una simile scena, in un'epoca dove gli effetti speciali erano pochi, creativi e rudimentali, e non c'era la computer grafica a salvare gli attori da situazioni spiacevoli, come il venire seppellito da chili e chili di polvere.
Vampyr è un viaggio allucinato che a volte perde un po' la via, spesso sorprende o lascia senza fiato,  ma di sicuro affascina nel profondo, chi abbia l'animo e la sensibilità giuste per vederlo.
Personalmente mi ha lasciata con una sensazione di sottile delusione, come mi sentissi incompleta, come se non avessi visto abbastanza, e credo che questo sia l'unico vero problema della pellicola che ebbe scarso successo all'epoca, sprofondando Dryer in un esaurimento nervoso al seguito del quale, venne ricoverato in un ospedale psichiatrico Francese. 
Il flop del film inoltre, tenne lontano Dryer dalla macchina da presa per una decina d'anni.
Se amate il cinema muto, le suggestioni visive, il mistero, cercate Vampyr nel web (è liberamente reperibile) e guardatelo.
Credo si rivelerà un'esperienza affascinante per molti, e se lo visionerete al buio o meglio ancora di notte... emozioni assicurate.


giovedì 15 ottobre 2015

Duffy the mascot

Duffy the mascot, conosciuto anche come The mascot, Puppy love o Devil's ball, è un' incredibile pellicola del 1933, che presenta un uso magistrale e modernissimo della tecnica di animazione denominata stop-motion.
Diretto da Ladislas Starevich regista Russo/Lituano/Francese, un autentico pioniere del genere che realizzò la prima animazione conosciuta in stop-motion (The Beautiful Lukanida-1912) nella quale venissero impiegati dei pupazzi, Duffy the mascot narra del rocambolesco viaggio intrapreso da un cane di pezza, al fine di portare un'arancia ad una bambina gravemente malata.

(Duffy)

Tutto ha inizio all'interno della misera dimora di una costruttrice di bambole e pupazzi.
Nel letto poco dietro di lei giace la figlia gravemente malata, la quale chiede alla madre un'arancia.
Purtroppo lo stato di grave povertà in cui versa la famiglia rende impossibile esaudire il semplice ed innocente desiderio della bambina, desiderio che viste le condizioni della piccola, potrebbe anche essere l'ultimo.
La madre, affranta e impotente, piange una lacrima all'interno del corpo di uno dei pupazzi che sta ultimando.
In una scena bellissima ed inquietante la lacrima inizia a pulsare venendo assorbita dalla stoffa, per poi mutarsi in un piccolo cuore che batte come fosse vivo.
Il pupazzo in questione è Duffy il cane, che forse per via della lacrima conservata nel suo corpo acquisisce oltre alla vita, un'anima gentile piena di preoccupazione ed amore per le sorti della piccola morente.
Oltre a Duffy altri pupazzi/bambole “abitano” nella casa. Verranno stipati in una scatola e spediti alla vendita finendo su di una carrozza postale, dalla quale fuggiranno grazie all'intervento di uno dei pupazzi, che raffigura un delinquente in perfetto stile della mala francese.
Duffy finirà in un mercato dove troverà un'arancia, ovvero esattamente quanto desiderava portare alla figlia della sua creatrice.
Scende la notte ed ogni cosa inanimata, ogni rimasuglio del mercato prende vita, dando inizio ad una folle festa danzante capeggiata dal Diavolo in persona.
Alla baldoria partecipano anche le bambole fuggitive che erano nel pacco assieme a Duffy, e in un tripudio di verdure smozzicate, bambole viventi, scheletri di animali che si ricompongono, demoni e strane creature Duffy dovrà difendere strenuamente l'arancia dalla bramosia degli altri, riuscendo infine a tornare a casa.
La piccola malata ricevendo il tanto desiderato frutto ritrova la salute, concedendo allo spettatore il lieto fine atteso dopo 20-25 minuti di fughe, lotte e situazioni pericolose, in ambientazioni oscure e sinistre.
Il motivo per il quale ho scritto 20-25 minuti, è spiegabile dal fatto che esistono due versioni della pellicola.
In una circa 6 minuti di film sono mancanti, precisamente la parte nella quale il diavolo compare, radunando i partecipanti al ballo.
Le due versioni sono comunque reperibili liberamente nel web.
Devo dire che sono rimasta rapita dalla bellezza di questo film, e vorrei rivederlo in qualità decente perché vi sono dettagli che purtroppo si perdono dentro sgranature e tonalità sballate.
Duffy è adorabile; il modo in cui si muove, gli atteggiamenti, denotano uno studio accurato e meticoloso dell'animale nella realtà, che mi trasmettono una sensazione di grande cura ed amore per il personaggio e l'intera opera.
Le azioni dei pupazzi sono fluide, naturali, le inquadrature efficaci, ed ogni cosa risulta magica, inquietante e bellissima.
Non mi stupisco che Tim Burton abbia preso Starevich come modello di ispirazione per le sue opere, e curiosando su questo regista ho visto che ha realizzato una versione di “Night before christmas” risalente al 1913 a questo punto da vedere assolutamente, anche se suppongo narri una storia ben diversa da quella di Burton.
Se la troverò, aspettatevi una recensione!
Per concludere, cercate Duffy the mascot e guardatelo. Il cane di pezza rapirà i vostri cuori in un batuffolo di tenerezza, la festa del Demonio saprà regalarvi piccoli brividi e divertimento, il tutto condito da una qualità che mai avreste pensato possibile negli anni '30, dove creatività, passione e fantasia la facevano da padrone, appioppando un sonoro calcio nel sedere a computer grafica, mancanza di amore e fantasia, mali che spesso affliggono produzioni e registi moderni.

mercoledì 23 settembre 2015

Rapsodia Satanica

Un notte, vagando per le le lande di Facebook, sono incappata in un post fornito dall'ottima pagina Kasbah Salomè, dove l'admin presentava Rapsodia Satanica, film muto Italiano del 1917, con protagonista Lyda Borelli.
Quando ho visto Italia+film muto+Lyda Borelli mi son detta che DOVEVO VEDERLO.
YouTube, da sempre mio amico in questi viaggi a seguito della curiosità ha esaudito ancora una volta i miei desideri, dandomi la possibilità di visionarlo.
Ero curiosa in quanto non mi era mai capitato prima d'ora di guardare un film muto Italiano, e perché la figura di Lyda Borelli stuzzicava la mia fantasia.
Chissà come recitava e come si presentava al pubblico questa diva del cinema nostrano, della quale in passato avevo sentito parlare.
Il suo nome era rimasto impigliato in un angolino di memoria, facendomi venire voglia di indagare.
Rapsodia Satanica è, come già detto, un film muto Italiano del 1917 (anche se da alcune parti ho visto indicato il 1915) diretto da Nino Oxilia.


Si tratta di una delle ultime opere realizzate da questo regista, morto durante la prima guerra mondiale. Oxilia venne falciato da una granata, mentre si trovava sul fronte del Monte Grappa.
Oxilia era anche poeta, ed alcune sue composizioni trovate dopo la morte (vennero rinvenute nel suo zaino militare) furono raccolte in un'opera postuma.
Ma torniamo a Rapsodia Satanica.
Il film da me visionato dura circa 44 minuti, e presenta brevi parti contrassegnate da pellicola nera ad indicare i tagli voluti dalla censura, che ridussero la lunghezza dell'opera dagli iniziali 905 metri, a 850 metri.
La pellicola inoltre, è colorata a mano.
Rapsodia Satanica è una variazione sul racconto popolare del Faust, (Dottor Faustus) ispirata ad un poema di Fausto Maria Martini del 1915.
Alba d'Oltrevita, un'anziana nobildonna, stipula un patto con il diavolo (Mefistofele), e in cambio della giovinezza rinuncia all'amore.
Mefistofele, impersonato da Ugo Bazzini, viene ritratto in maniera assai caricaturale. Esce da un quadro tramite un interessante effetto scenico, presentandosi con il classico mantello/palandrana rossa, naso adunco, pizzetto e immense sopracciglia.
Promette ad Alba la giovinezza, e chiederà alla donna di dimostrare la propria serietà nei riguardi del patto, infrangendo una statuetta di Cupido.
Alba accetta il contratto, e ritornata giovane si da alla bella vita in un tripudio di feste e scenari bucolici, pieni di allegria e lusso.
La svolta avviene quando due fratelli, Tristano e Sergio, si innamorano di lei.
Quest'ultimo, esasperato dalla rivalità col fratello e desideroso di capire sino in fondo i sentimenti di Alba minaccia quest'ultima di uccidersi, se non andrà da lui allo scoccare della mezzanotte.
Durante una lunga scena Alba e Tristano (l'altro fratello) discutono animatamente per tentare di salvare la vita a Sergio, ma Alba decide di non curarsi dell'uomo, che si uccide.
La parte finale del film racconta della solitudine e presa di coscienza di Alba scopertasi innamorata di Tristano, interrotta dal ritorno di Mefistofele.
Il demonio catturata la donna nel suo mantello compie la metamorfosi che riporterà Alba allo stato originario, obbligandola poi a verificare di persona lo svanire della giovinezza.
La storia come avete visto è assai semplice; il film si divide in lunghe parti puramente estetiche e coreografiche, alternate a scene durante le quali avvengono fatti rilevanti.
Personalmente l'ho trovato piuttosto noioso oltre che pomposo, nonché sforzato nel suo voler apparire raffinato.
Lyda Borelli è irritante. Se c'è qualche suo fan che mi legge (ne dubito ma non si sa mai) non se la prenda, si tratta di un parere personale.
Credo di voler vedere quest'attrice (alla quale è stata intitolata una celebre casa di riposo per artisti situata a Bologna) in altre interpretazioni, per capire se era solita recitare sempre in quel modo eccessivamente lezioso ed oserei dire “vanitoso”, o è un caso a parte.
Ci sono stati momenti nei quali le avrei voluto tagliare le braccia, datosi che non perdeva occasione per far volare caoticamente lo scialle o le maniche di leggero tulle dell'abito, in cerca di effetti leggiadri che tuttavia a me, personalmente, sono risultati indigesti.
Capisco che devi esprimere la gioia e la vanità della giovinezza ritrovata, ma non credo occorra muoversi di continuo, mimando spontanei passi di danza.
Le ambientazioni sono molte, variate, e un po' commoventi.
Suppongo che il regista, seguendo il gusto liberty incentrato su bellezza ed estetica volesse catturare l'opulenza della nobiltà Italiana dell'epoca, ma ho trovato tutto eccessivamente costruito e sforzato.
I pannelli con la descrizione di scene e dialoghi sono scritti in forma poetica, probabilmente seguendo la composizione originale di Fausto Maria Martini.
Chi apprezza il tipo di poesia in voga in quegli anni li troverà interessanti, io ho provato invece un misto di ilarità ed imbarazzo.
Naturalmente per una come me, un'ignorante, è difficile cogliere determinate cose, quindi ribadisco che si tratta di gusto personale influenzato dalla mia inesistente cultura.
Le scene finali, dove Alba come dice il testo “Si velò sacerdotessa dell'amore e della morte” hanno un certo fascino languido, a partire dal gioco di specchi davanti ai quali essa indossa un grande velo bianco, sino alla sua uscita all'aperto completamente velata, dove appare come una sorta di fantasma misterioso.


Vi sono spunti insomma decisamente stuzzicanti, purtroppo affogati in un gran mare di pura estetica fine a se stessa.
Riflettendo sulla cosa mi sono immaginata nei panni degli spettatori di inizio secolo, con una guerra alle porte, ed ho pensato che per un pubblico del genere ammirare Rapsodia Satanica e Lyda Borelli debba essere stato uno spettacolo bellissimo ed irreale.
Rapsodia Satanica si è rivelato comunque un film illuminante dal punto di vista storico, di costumi, e del gusto corrente all'epoca.
Le musiche tra l'altro sono state composte niente meno che da Pietro Mascagni, il quale elaboro' una partitura appositamente per questo film, definendo il lavoro di sincronizzazione scene/musica "Lungo, improbo e difficilissimo".
Se amate il cinema, la poesia di inizio novecento, l'estetica di quel periodo, cercate Rapsodia Satanica nel web e troverete pane per i vostri denti.

venerdì 11 settembre 2015

Die puppe - The doll

Buongiorno, rieccomi dopo un bel po' di tempo, con una nuova “recensione”.
Vi giuro che la mia idea di partenza era quella di parlare di un libro a fumetti, ma ieri notte mi sono decisa a guardare l'ennesimo film muto e allora... 
Die puppe (The doll) è un film fantasy/romantico Tedesco del 1919, diretto da Ernst Lubitsch.
Il film è vagamente ispirato al balletto “Coppelia”.


Tutto inizia con il regista stesso, che costruisce sotto gli occhi dello spettatore un piccolo set o scenario di casa per bambole, dove inserisce due pupazzetti.
La finzione si muta in realtà ed i due pupazzi in persone vive, dando il via alla storia vera e propria.
Lancelot è il giovane nipote del Barone di Chanterelle, sin da subito presentato come un soggetto piuttosto maldestro, piagnucoloso e debole caratterialmente.
Lo zio, impaziente di mantenere viva la linea di famiglia, preme affinché il ragazzo decida di sposarsi.
Lancelot tuttavia non ne vuole sapere, e quando si trova di fronte al fatto che il Barone ha già distribuito in città un annuncio, col quale si invitano tutte le fanciulle in età da marito ad andare al suo palazzo per scegliere la futura moglie del nipote, fugge terrorizzato da quelle 40 femmine bramose di conoscerlo e conquistarlo.
La sequenza della fuga è molto carina e presenta il classico va e vieni già visto mille volte in altri film, dove il protagonista scappa correndo qua e la, attraverso varie ambientazioni.
Al termine della scena (a mio parere forse un po' troppo lunga) Lancelot cerca rifugio in un convento abitato da monaci tutt'altro che santi, il cui unico interesse è avere abbastanza denaro per mangiare in abbondanza, ed abbuffarsi di stinco di maiale e birra.
Il tempo passa ed i monaci si trovano a corto di risorse economiche, riunendosi tutti assieme per trovare una soluzione.
La scena durante la quale i confratelli cercano di prendersi carico delle preoccupazioni espresse dal reverendo padre è adorabile; ciascun monaco mette le proprie mani sulla testa del Reverendo, grattandogli gentilmente la cute.
Non so se abbia un significato preciso oltre a quello di essere buffa, ma a me ha fatto ridere!
La soluzione ai guai dei monaci, arriva sotto forma di annuncio sul giornale che uno dei fratelli sta leggendo: il barone promette 300,000 franchi al nipote, se deciderà di tornare da lui e prendere moglie.
Al grido di “300,000 franchi! Quanti stinchi di maiale si possono mangiare con questa cifra?” i monaci convocano Lancelot convincendolo a cercarsi una moglie, ed a cedere poi a loro il premio offerto dal Barone.
Per ovviare al fatto che il ragazzo NON vuole sposarsi esclamando “I will not marry a woman!” cosa che mi ha fatto pensare “E allora sposati un uomo” ma sorvoliamo, gli allegri fratacchioni che già pregustano le gioie di una bella mangiata, propongono a Lancelot di sposare una bambola.
In quei luoghi difatti abita Hilarius, un famoso artigiano di bambole, al quale il ragazzo potrà rivolgersi.
L'annuncio pubblicitario di Hilarius è esilarante, e ve lo riporto qua sotto.


Lancelot va dunque al laboratorio del costruttore di bambole, dove Hilarius aiutato dal suo apprendista, un ragazzino meravigliosamente maniaco e scaltro, sta terminando la sua ultima creazione: una bambola con le sembianze della sua adorata figlia Ossi.
Mentre Hilarius mostra a Lancelot la sua produzione, in una scena durante la quale tutte le bambole danzano per il ragazzo e gli si accalcano addosso facendolo morire di terrore, il piccolo apprendista mette in funzione la bambola con l'aspetto di Ossi, e balla con lei.
Sciaguratamente a causa di un incidente l'automa si rompe, e il ragazzino sprofonda nella disperazione.
Avviene così che Ossi decida di fingersi bambola, sino a quando la sua copia meccanica verrà riparata.
Quando Lancelot, spaventato dalla mancanza di moralità delle bambole ne chiede una di solidi principi, Hilarius propone al ragazzo Ossi, ignorando che si tratta di sua figlia e non della copia.
Da questo momento in avanti iniziano le divertenti scenette nelle quali Ossi cerca come può di continuare la sua farsa, in un susseguirsi di situazioni grottesche e comiche davvero deliziose.
Si tratta di meccanismi visti e stra-visti ma sempre efficaci, meccanismi sui quali la comicità si basa da sempre, e che non stancano praticamente mai.
Naturalmente assistiamo ad un lieto fine quando Ossi si rivela per quello che è cioè umana e non bambola, e Lancelot nel frattempo innamoratosi di lei la bacia.
Ho trovato il film delizioso e spassoso nella sua leggerezza, ben recitato e ricco di dettagli squisiti e un po' folli, che compaiono qua e la lungo la storia, facendoti sorridere e trasportandoti in un'atmosfera fiabesca, irreale.
Animali impersonati da sagome, la luna disegnata nel cielo, cavalli che non sono tali bensì persone in costume.
Le scenografie sono bellissime! La casa/laboratorio di Hilarius l'ho amata sin da subito, ed anche l'abbigliamento del giovane apprendista (credo lo ruberò per qualche mia storia).
Ossi Oswalda (sì, la protagonista porta lo stesso nome dell'attrice che la impersona) nel ruolo della finta bambola dona all'intera pellicola luce e fascino, grazie alla sua impeccabile interpretazione ricca di espressioni grottesche e buffe, e la capacità di vestire i panni della bambola con grande maestria e naturalezza.
La scena dove balla di fronte ai monaci è splendida, non si può fare a meno di amarla.
In definitiva consiglio davvero la visione di questo grazioso film muto, liberamente disponibile nel web.
Ho passato un'ora e rotti in allegria sorprendendomi a ridere e sorridere come una bimba, godendo dell'atmosfera spensierata e fiabesca che questa pellicola regala.
Date una chance a “Die Puppe”, e come sempre se vi va, scrivetemi le vostre impressioni.

lunedì 10 agosto 2015

The hands of Orlac

Quando ho deciso di affrontare questo film, nella mia mente si è materializzata l' ormai celeberrima scena del dialogo tra il Ragionier Fantozzi e Guidobaldo Maria Riccardelli.
“Le piace il cinema espressionista tedesco???”.
Ammetto di essermi sentita molto solidale col povero Fantozzi durante la visione della pellicola di cui sto per parlarvi, visione piuttosto faticosa, superata solo grazie ad ostinazione e al mio imbarazzante amore per Conrad Veidt, l'attore protagonista.
Ma partiamo con la “recensione” vera e propria.
The hands of Orlac è un film horror Austriaco del 1924 diretto da Robert Wiene, già famoso per il suo The cabinet of Dr Caligari da me visionato diverso tempo fa, e il cui protagonista era sempre Veidt.
The hands of Orlac narra la storia di Paul Orlac, un famoso pianista (Veidt), che durante il viaggio di ritorno verso casa dopo una serie di fortunati concerti resta coinvolto in uno spaventoso incidente ferroviario, nel corso del quale perderà l'uso delle preziosissime mani.
Yvonne, la moglie del pianista, scongiura un chirurgo di provata bravura affinché salvi le mani del marito.
Il luminare giura che farà il possibile, e trapianta ad Orlac le mani di Vasseur, un criminale appena giustiziato sulla ghigliottina.
Per la quasi totalità del film assistiamo al delirio di Orlac, che venuto a sapere dell'operazione è persuaso che le mani a lui trapiantate siano malvagie e in grado di condizionare la sua mente, spingendola a compiere atti criminosi.
Questo gli rende impossibile suonare il piano o toccare la moglie, portando lo sventurato in un gorgo di disperazione e pensieri ossessivi.

(Orlac non riesce a toccare la moglie)

La famiglia dunque cade in miseria, e Yvonne si reca dal suocero per implorare aiuto, venendo respinta.
A questo punto è lo stesso Orlac ad andare dal padre, ma quando giunge da lui scopre che è stato assassinato. Sul cadavere dell'uomo sta infisso il pugnale che Vasseur usava durante i suoi crimini, insinuando in Orlac il dubbio di aver commesso il delitto.
Uscito dalla casa paterna entra in un caffè dove incontra uno strano individuo, che afferma di essere Vasseur.
Egli rivela ad Orlac, di come il medico che gli ha trapiantato le mani abbia eseguito la medesima operazione anche su di lui.
La testa  dell'assassino è stata rimessa sul suo corpo, consentendo all'uomo di vivere ancora.
Inoltre Vasseur mostra al pianista le proprie mani le quali appaiono artificiali e rigide come fossero di metallo, e ricatta il musicista chiedendo un'ingente somma di denaro, che dovrà essere portata in un luogo preciso.
Se Orlac non consegnerà il denaro pattuito, Vasseur farà la spia circa l'omicidio appena avvenuto.
Nel frattempo sulla scena del delitto interviene la polizia, verificando che le impronte di Vasseur si trovano ovunque.
Il fenomeno manda tutti in confusione, datosi che in teoria dovrebbe essere morto.
Paul e sua moglie decidono dunque di andare alla polizia per raccontare la loro verità, ma le impronte presenti sulla scena del delitto incastrano il pianista che viene salvato dall'arresto in extremis, quando racconta dell'uomo che dice di essere Vasseur e del ricatto.
Si scopre dunque che quest'ultimo è un truffatore chiamato Nera, ben noto alle forze di polizia.
Nera, un vecchio amico del defunto Vasseur ha inscenato ogni cosa grazie alla complicità della cameriera di casa Orlac, nel tentativo di spillare ingenti somme di denaro al pianista.
Tutta la storia della testa trapiantata è un falso, ed anche le mani del criminale non sono artificiali.
La domestica rivela inoltre che l'omicidio del padre di Orlac è stato portato a termine da Nera, mentre indossava dei guanti in gomma ricavati da un calco in cera, che riproduce le impronte digitali di Vasseur.
Nera è anche l'effettivo esecutore degli omicidi dei quali era stato incolpato Vasseur, il quale era dunque innocente.
Questo solleva l'animo di Orlac riportandolo alla vita, facendo intendere che da quel momento in avanti egli sarà nuovamente in grado di suonare il piano.
Il film ha una storia tutto sommato interessante, e presenta un plot twist finale che lo avvicina all'altra opera di Weine ovvero  The cabinet of Dr Caligari, ma al contrario di quest'ultimo fallisce il bersaglio, perdendosi in lungaggini esasperanti ed eccessive.
Lo stile di recitazione esagerato, i movimenti lentissimi, e la tensione nei corpi degli attori che spesso si spostano sulla scena camminando come zombie sofferenti, inseriti in un contesto grottesco, distorto e malato come quello presentato in Caligari avrebbero avuto la loro funzione, mentre in the hands of Orlac il tentativo di Weine di inserire elementi espressionisti in un' ambientazione per così dire normale, ha dato vita ad un miscuglio poco azzeccato, e assai difficile da digerire.
Il film si trascina per più di un'ora e mezza nel nulla quasi totale, per poi rianimarsi sul finale, quando ogni cosa si sviluppa e viene svelata.
Conrad Veidt appare sempre eccellente nonché (coff) bellissimo, anche se l'ho trovato meno incisivo in questa pellicola, dove il ruolo a lui assegnato l'ha costretto a spingere troppo su di una mimica esageratamente drammatica, a discapito della sua capacità di rendere le emozioni impiegando solamente gli occhi, o infinitesimali cambiamenti di espressione.
Ho trovato Alexandra Sorina l'attrice che impersona Yvonne piuttosto fastidiosa ed eccessivamente drammatica nella sua interpretazione, ed alcune scene si sono rivelate talmente lente, da farmi venire una gran voglia di abbandonare la visione del film.
In una in particolare, quella del tentativo della cameriera di “sedurre” la mani di Orlac, passano circa 6 minuti di azioni lentissime, che metterebbero alla prova la pazienza di chiunque.
Di questo film ho apprezzato l'atmosfera oscura, la resa del bianco e nero, e il rigore teutonico e geometrico sul quale le scene sono state costruite, rendendole del tutto simili a dipinti, o dando allo spettatore la sensazione di essere a teatro, e non davanti ad uno schermo.
Questa inquadratura ad esempio, mi è piaciuta moltissimo.


Osservate le linee sulle quali è sviluppata, e come l'occhio vaghi in modo preciso giocando tra  gli elementi presenti, ovvero il tizio con il grembiule bianco sul fondo, il lume in alto, e Orlac sulla sinistra.
Non la trovate una composizione splendida? Aspetto il giudizio di chi se ne intende per capire se è solo un'impressione mia, o no.
Sinceramente se non siete persone molto curiose e molto pazienti non vi consiglio di guardare il film, a causa dei motivi spiegati nella recensione. Considerate però che viene inserito nella classifica dei film horror di epoca muta, più belli di sempre.
Alla luce di ciò potreste anche dargli un'opportunità, così come ho fatto io.
Se lo farete, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, e come vi è sembrato.


giovedì 6 agosto 2015

Les Vampires

Buongiorno, rieccomi con l'ennesima “recensione” di un film muto.
Quest'oggi presento Les Vampires, film Francese realizzato tra il 1915 ed il 1916 da Louis Feuillade
La scoperta di questo interessante film è avvenuta come sempre grazie ad alcune immagini particolarmente suggestive, presenti in uno dei blog che seguo su Tumblr.

(Una delle foto era questa)

La foto ed il titolo dell'opera mi hanno dapprincipio sviata, facendomi credere che Les Vampires fosse un film horror, ed invece per mia grande meraviglia ed iniziale disappunto, ho scoperto che si trattava di un poliziesco.
Les Vampires è un film ad episodi, cosa che rende la visione della pellicola piuttosto impegnativa, in quanto ciascun episodio dura mediamente tra i 30 ed i 50 minuti.
E il film ne conta ben 10.
Mi ci sono voluti tre giorni per visionare tutte le 7 ore (ripeto: 7 ore) di pellicola, particolarità che colloca Les Vampires nell'elenco dei film piu lunghi mai prodotti nella storia del cinema.
La trama è semplice nella sua costruzione di base, ma presenta numerosi capovolgimenti interni che rendono ogni spezzone unico ed interessante, mantenendo sempre desta tensione e curiosità nello spettatore.
Il giornalista Philippe Guérande ed il suo buffo e svelto compare Mazamette, si trovano coinvolti in una sordida storia di furti e violenze, perpetrati da una banda di criminali chiamata Les Vampires.
Per l'intera durata del film i due cercheranno di incastrare la gang sfuggendo continuamente a rapimenti, conflitti a fuoco, e a tutto quello che potreste vedere in un qualsiasi film di James Bond, realizzato parecchie decine di anni dopo.
In questa storia troverete continui trucchi, colpi di scena, situazioni drammatiche, e un quantitativo di sparatorie che nulla ha da invidiare ad un thriller prodotto ai giorni nostri.
Musidora, l'attrice che impersona Irma Vep (il cui nome è l'anagramma di Vampires) mette in scena una creatura di dubbia moralità, dark ed opportunista come poche, e dalla resistenza paragonabile a quella di un gatto dalle nove vite.

(Musidora - Irma Vep)

In un susseguirsi di intrighi, rapimenti, anelli e penne stilografiche avvelenate, gas che paralizzano, tutine nere aderenti, esplosioni e risse, Les Vampires scorre via per le sue monumentali sette ore in maniera incredibilmente lieve, senza annoiare lo spettatore.

(Gas paralizzanti, giusto per gradire)

Ciascun episodio presenta un titolo suggestivo, che riassume l'argomento trattato nello stesso.
Ecco la lista completa:
"The Severed Head" 33 mins.
"The Ring That Kills" 15 mins.
"The Red Codebook" 39 mins.
"The Spectre" 30 mins.
"Dead Man's Escape" 35 mins.
"Hypnotic Eyes" 54 mins.
"Satanas" 46 mins.
"The Thunder Master" 52 mins.
"The Poisoner" 48 mins.
"The Terrible Wedding" 60 mins.
Come potete vedere la durata delle scene è variabile, e tende ad aumentare progressivamente.
Il film è stato girato a Parigi durante gli anni della prima guerra mondiale, cosa che rese particolarmente complicata la produzione, a causa delle inevitabili problematiche legate ad un periodo tanto drammatico.
Alcune parti sono state realizzate grazie all'uso di stock footage, ovvero spezzoni di pellicola appartenenti a documentari, cinegiornali ed altro, inseriti all'interno del film per ovviare alle difficoltà di “mettere in piedi” scene particolarmente complesse e spettacolari.
Un altro espediente creativo impiegato per dare maggiore “spessore” all'intera narrazione, e che consente allo spettatore di seguire i vari cambi di orario e luogo in modo semplice e diretto, è quello di tingere la pellicola con colori differenti, a seconda del tipo di luce/ambiente presentato.
Avremo dunque scene color seppia per gli interni, verde in caso di esterno giorno, blu per la notte o l'assenza totale o quasi totale di luce, rosso per luoghi e condizioni atmosferiche di scarsa luminosità, come interno di locali notturni, e situazioni che si svolgono durante l'alba o il tramonto.
Diventa semplice dunque riconoscere dove e quando la storia viene messa in scena, aggirando abilmente i problemi dovuti al non poter girare in notturna, o in piena libertà.
Scarsamente considerato dai critici per l'assenza di espedienti cinematografici rilevanti e la dubbia moralità del tema trattato, Les Vampires riuscì a catturare l'amore incondizionato del pubblico, rendendo Musidora una delle attrici Francesi più in voga del periodo.

(Musidora - Irma Vep)

Di fatto Les Vampires presenta una costruzione incredibilmente semplice, che si basa su lunghe scene filmate usando una camera fissa, ed occasionali primi piani di dettagli come nel caso di parti scritte o foto.
L'intera produzione costò davvero poco anche per via dell'uso di fondali dipinti, e il riciclo obbligato e sistematico delle poche suppellettili disponibili.
Musidora, l'attrice che impersona Irma Vep era un'acrobata, e realizzò personalmente tutti gli stunt presenti all'interno della pellicola.
Ho trovato questo film molto godibile seppur dilatato in tempi quasi eterni, e ricco di continue sorprese nella trama, che lo rendono imprevedibile e sempre nuovo.
Irma Vep in particolare si rende protagonista di moltissime parti drammatiche sopravvivendo a calamità, rapimenti, e molto altro, riuscendo sempre a spuntarla brillantemente.
Aiutata dal suo essere moralmente parecchio elastica se la caverà in ogni frangente, divenendo la spalla del potente di turno in sublime naturalezza.
La versione da me trovata su YouTube, che ho scoperto poi essere priva di parte del finale (scovato in un altro canale) presenta una colonna sonora molto interessante, che ha attirato la mia curiosità.
Si tratta di una composizione royalty free  a cura di un artista chiamato Kevin MacLeod, il quale rende le proprie creazioni sonore disponibili gratuitamente, a chi ne volesse fare uso.
Il sito dove trovare l'intera sua produzione si trova QUA e comprende una vastità di generi e temi tra i piu vari, rigorosamente raggruppati in categorie per facilitarne l'uso.
Vi lascio con i link alle schede wikipedia ed IMDb e... buona visione!

mercoledì 8 luglio 2015

Freaks - 1932

Buongiorno, quest'oggi vorrei parlarvi di un film molto particolare, scovato nel web dopo una breve ed intensa ricerca, e visionato giusto ieri notte.
Freaks è un film horror del 1932 diretto da Tod Browning unico nel suo genere, per la presenza di autentici «fenomeni da baraccone» all'interno della pellicola, i quali recitano nel ruolo di loro stessi.
La versione originale ed estesa è andata perduta, in quanto giudicata eccessivamente scioccante per venire distribuita nelle sale.


Tod Browning, regista e produttore, si vide costretto ad effettuare molti tagli mirati ad eliminare le parti considerate più spaventose, riducendo la lungheza della pellicola dagli iniziali 90 minuti, a non più di 64.
Gli sforzi compiuti tuttavia, non furono in grado di proteggere quest'opera da recensioni e critiche tanto negative, da compromettere in maniera pressoché irreversibile la carriera di Browning.
Ma di questo vi parlerò al termine della mia recensione.
La trama, che si svolge interamente all'interno di un circo, è semplice ma d'impatto.
Tutto inizia con un imbonitore, impegnato a narrare al pubblico di come i freaks non abbiano scelto di venire al mondo, e di come essi siano legati gli uni agli altri da una sorta di legge che recita “Offendi uno di loro, ed offenderai tutti”.
Successivamente l'uomo conduce gli spettatori ad una grande scatola, contenente la più incredibile mostruosità esistente. Essa un tempo era una splendida donna, conosciuta come “The paecok of the air”.
Una cliente scruta nella scatola, ed urla di terrore.
La scena cambia mostrando Cleopatra, bellissima e talentuosa trapezista.
La donna seduce Hans, il nano che si occupa di presentare al pubblico le attrazioni del circo, dapprima con l'intento di dileggiarlo, e successivamente, una volta venuta a conoscenza della sua immensa ricchezza, per sposarlo.
Il piano di Cleopatra è chiaro, intende diventare la moglie di Hans, e poi, con l'aiuto del suo amante ovvero l'uomo forzuto, avvelenare il poverino impossessandosi di tutti i suoi beni.
Hans, promesso sposo della graziosa nanetta Frida (nella realtà i due attori erano fratello e sorella) è completamente perso d'amore per Cleopatra, la quale, ha vita ben facile e riesce a scucire il matrimonio con grande facilità.
Durante il pranzo di nozze però, mentre Cleopatra inizia ad avvelenare il vino consumato da Hans, tutte le attrazioni del circo festeggiano la donna con una sorta di rituale d' accoglienza, e al suono della ossessionante filastrocca "We accept her, we accept her. One of us, one of us. Gooba-gobble, gooba-gobble" si passano un calice di vino da cui tutti bevono, in segno di comunanza.
Cleopatra, inorridita da quegli esseri da lei considerati come mostri si ribella gettando loro addosso il vino, apostrofandoli come «freaks».
Inoltre, a causa dell'ebbrezza, bacia appassionatamente l'uomo forzuto, rivelando i propri veri sentimenti ed intenti.
Hans, intenzionato a chiudere l'accaduto rifiuta le patetiche giustificazioni e scuse di Cleopatra, ma non può fare o dire più di tanto, perché il veleno è ormai entrato in circolo.
Il finale della storia si presenta crudo, drammatico e terribilmente d'impatto.
Durante lo spostamento del circo in altro luogo, che avviene in una notte di pioggia e tempesta, Cleopatra seguita a somministrare ad Hans il veleno spacciandolo per una medicina, ma il nano, ormai conscio di quanto frulli in testa alla donna, finge di accettare quanto lei gli propina.
Mentre la pioggia scroscia ed i tuoni squassano l'aria, i freaks attaccano Cleopatra e l'uomo forzuto armati di pistole e coltelli, inseguendoli senza pietà sino a sopraffarli in una serie di scene da far accapponare la pelle.
E qua arriviamo al punto lasciato in sospeso ad inizio post.
I tagli effettuati dal regista, riguardano principalmente questa parte.
In origine la scena di aggressione era assai piu articolata e cruenta, e comprendeva l'evirazione dell'uomo forzuto, totalmente assente nella versione definitiva, e la mutilazione di Cleopatra.
Si narra che una donna, nel corso della presentazione al pubblico sia stata colpita da malesseri tanto forti, da causarle un aborto.
Ho trovato questo film molto interessante, non solo per la presenza dei freaks, qui ritratti nella quotidianità della loro esistenza comprendente abitudini, abilità, rapporti affettivi e di amicizia, ma sopratutto per la storia, dove coloro comunemente visti come i «normali» si rivelano ben più mostruosi dei mostri stessi.
Il comportamento squallido ed immorale di Cleopatra e del suo compare, la sua bellezza e perfezione fisica, stridono con le deformità dei freaks e il loro immenso senso di giustizia, coesione, aiuto reciproco, costringendo lo spettatore a riflettere su chi, nella storia, sia il vero mostro.
Al di la della recitazione non sempre brillante, trovo che questo film sia davvero ben fatto, senza cadute di tono, e che riesca a mettere in luce i vari «fenomeni da baraccone» presenti, in modo gentile e rispettoso.
Costruito come una mescolanza tra documentario e dramma, mette in scena una galleria di soggetti tutti perfettamente delineati, anche quando la loro presenza è obbligatoriamente limitata a brevissime scene, portando lo spettatore ad affezionarsi a queste sfortunate creature, dal nobile cuore.
Indagare sui singoli soggetti è un percorso affascinante, che vi porterà ben oltre il film, riempiendovi di stupore ed ammirazione.
L'intera pellicola è reperibile liberamente nel web, anche se vi dovrete accontentare di una qualità non proprio eccelsa.
Consiglio caldamente di cercarlo e vederlo, sono certa che non vi deluderà, specialmente se amate il genere, ed i film datati.
Per finire, due curiosità: il brano “Pinhead” del gruppo punk The Ramones è riferito al film, e sempre rimanendo in tema musicale il video degli U2 “All I want is you” è anch'esso ispirato (in parte) al film.
Buona visione e come sempre, lasciatemi le vostre impressioni se vi va.